lunedì 27 febbraio 2012

Ho chiesto allo psicologo "a cosa servi?". Sono rimasto shoccato!


Chiedere un parere allo psicologo è roba da illuminati. È di per sè già un deterrente alla patologia mentale. In altre parole chi ha l'intelligenza di chiedere il parere al professionista della psiche, ha già capito l'importanza di un consulto "diverso", che sia da persona a persona e non da persona a venditore.

Quanti disturbi d'ansia e quanti attacchi di panico ci sono in giro senza che alcun medico di base indirizzi verso lo specialista di questi problemi? Quanti di questi vengono liquidati con la prescrizione di un ansiolitico al bisogno per tutta la vita? Quanti farmacisti sceglierebbero di svuotare le proprie tasche a favore della "cura" definitiva di problemi che sono per definizione "psichici"?

Chiedere un parere allo psicologo è roba da illuminati perchè chi ci è andato ha già fatto i conti con una ridicola credenza, quella che fa pensare di se stessi "se vado dallo psicologo, devo ammettere che ho un problema mentale, quindi sono già malato"; chi va dallo psicologo ha già fatto i conti con questa riflessione e si è intelligentemente risposto "è un dilemma ridicolo che non sussiste: chi meglio dello psicologo può darmi un calcio nel posteriore dicendo «non hai niente, ti sei solo incartato nei pensieri, ti aiuto un istante e il nodo si scioglierà»".

Chiedere un parere allo psicologo è roba da illuminati ed anche particolarmente istruiti, ma non istruiti delle scuole dell'obbligo o dell'università, istruiti come i maggiori ricercatori di maggiore fama internazionale, come quelli che stanno re-inventando le discipline della cura della persona, poichè nei nuovi modelli di cura la psiche ha trovato un ruolo centrale per la lotta alle maggiori malattie del nostro secolo, mentre la prassi medica, ottima per la chirurgia d'emergenza, etichetta tutto quello che non conosce con l'etichetta "psicogeno" (pur azzardando raramente un invio al professionista del campo), che per lui ha lo stesso valore di dire "non ne ho idea, ma di ciò di cui io non ho idea semplicemente non esiste".

Quanti disturbi allo stomaco, quanti all'intestino, quante ipertensioni, quanti disturbi della pelle, quanti disturbi del sistema immunitario, etc., tutti dichiarati psicogeni, per poi essere trattati con qualche farmaco inutile con la frase "prendi questo, tutt'al più non fa male e non avrà fatto niente".

L'intento di questo brano è quello di tendere ai pazienti naufraghi una mano per trarli in salvo dalle acque azzurre e invitanti di consulenti improvvisati, di parrucchieri e di medici "sono anche un po' psicologo", dei venditori di rimedi per sentito dire, un oceano di imbarazzanti dubbie competenze.

martedì 3 gennaio 2012

Depressioni natalizie


La nostra vita quotidiana è fatta di routine e abitudi sulle quali non ci soffermiamo. Non si soppesa il significato di un legame parentale, o di un'amicizia: si è parenti o amici e basta! I rituali dei festaggiamenti del periodo natalizio invece ci mettono di fronte alle "misurazioni di affetto", ai "soppesamenti di simpatie e antipatie" e a tanto altro di innovativo, de-routinizzato. La comoda amaca dell'abitudine nella quale ci culliamo ogni giorni viene messa al vaglio e all'analisi tecnica di ogni sua componente, di ogni suo pezzo di corda, con un'attenzione così particolare da farci percepire ogni scomodità sulla schiena o difetto di durezza sulle natiche.

Il Natale e il Capodanno sono i periodi più attesi da tante persone, ma si prestano facilemente ad essere anche i più odiati. Il fatto che si tratti di feste durante le quali si riunisce tutta la famiglia fa sì che in molti casi ciò sia motivo di tristezza, in particolare per l’assenza delle persone care, delle quali si sente particolarmente la mancanza in queste giornate.

Ma anche è una gara costante con "l'ideale del rituale": la festa dovrebbe essere fatta in un certo modo e se non rispecchia il prototipo allora ci farà sentire giù di morale. Un prototipo di rituale sempre fluttuante mai fisso, che si allontana o cambia forma ogni volta che lo stiamo per realizzare. Così una festa in famiglia si trasforma in un sospiro di rimpianto per la mancata gita fuori città o all'estero; il viaggio si trasforma nella ricerca spasmodica della legittima allegria tenacemente ricercata (con la produzione di sufficiente materiale video-fotografico per la celebrazione del più piacevole rito dell'invidia post rientro in compagnia di amici o parenti).

Un altro fattore che determina la cosiddetta depressione Natalizia è l’obbligo che noi tutti sentiamo di essere felici. In questo mese si richiede di sorridere, di abbracciare tutti, di partecipare a feste o di sedersi vicino a qualcuno con cui non vai d'accordo; ma essendo Natale si devono dimenticare tutti i problemi e condividere tavolo e tovaglia come se nulla fosse.

Le feste natalizie-capodannesche-epifaniche si prestano ai bilanci, a quelli di una vita, al confronto tra l'ideale "cosa avrei voluto che raggiungessi a quarant'anni" e il reale "cosa ho raggiunto", ai bilanci di un anno; è il momento per vivere sulla propria pelle la valutazione di un'amica scomoda, la propria coscienza, raramente compagna alleata di letture beate dei bilanci di una vita, molto più spesso impietosa e frignante per qualcosa che non ha ricevuto.

Feste natalizie al bando, dunque? Certo che no! Primo perchè per molte persone sono un reale momento di gioia. Ma se è facile riconoscersi in quanto descritto qui sopra, meglio cercare di capire in che modo il proprio Natale è potuto diventare una tale ricorrenza da umore nero. Le feste natalizie dunque si prestano, in questo senso, a diventare laboratorio emotivo per sperimentare le dinamiche del nostro umore, delle relazioni con i nostri affetti: rivelatori del nostro mondo interno, emotivo e razionale, ci mostrano con che criteri stiamo al mondo e perchè certi criteri ci danno tanto fastidio. D'altronde, i creatori di quei criteri scomodi siamo noi stessi.